La misura dell’incommensurabile
Non esistiamo a priori. Siamo la somma degli incontri casuali, il prodotto delle circostanze che ci hanno plasmato. Domani saremo definiti dalle nostre inerzie, dai nostri risvegli, dai ritmi frenetici e dalle pause contemplative in questo universo silenzioso.
Siamo modellati dall’ambiente che a nostra volta influenziamo in un ciclo perpetuo privo di significato intrinseco. Non vedo esseri separati dallo spazio che li contiene, ma un unico “campo” esistenziale di cui siamo parte effimera. Come stelle che esauriscono il loro calore interno e collassano in buchi neri, anche noi ci spegniamo, lasciando solo l’assenza, il vuoto che la nostra scomparsa genera nell’universo degli altri.
L’individuo isolato è un’illusione. Esiste solo nei momenti di relazione, quando perturba ed è perturbato. Le idee che possediamo non sono veramente nostre; nascono dalla nostra condizione particolare, determinata da un passato che ci definisce e da un futuro che definiamo in un circolo privo di origine e destinazione.
Le rubric dinamiche: tentativi minimi di misurare l’incommensurabile. Narrano, e nella narrazione si cela l’unica possibilità di contenere e quantificare l’assurdo della nostra condizione.
La misura esiste nel tempo, ma il tempo stesso è relativo, si contrae e si dilata come Einstein ci ha rivelato. Nell’incontro con l’altro, il tempo si espande fino a perdere significato; prevale la persona con le sue mutazioni, il suo percepire l’assurdità del campo esistenziale, il suo interpretare la vita dopo successi e fallimenti, dopo le assenze che hanno lasciato cicatrici invisibili.
Il tempo dell’atomo, con la sua fredda oggettività, è indifferente alle contaminazioni del mondo umano. Ma cosa importa questa oggettività alla persona che percepisce il proprio divenire come estraneo a questo scorrere meccanico? L’evolversi dei parametri umani, gli incontri fortuiti, i risvegli dalle letargie, l’affievolirsi degli entusiasmi – tutto questo possiede una metrica propria, un tempo che poco condivide con quello universale. È un tempo diverso, o forse lo stesso tempo che subisce metamorfosi secondo la prospettiva, come nella relatività einsteiniana. Solo che qui il punto di vista non dipende dalla velocità, ma dalla situazione esistenziale dell’osservatore.
La rubrica dinamica, nella sua modestia, può raccontarci frammenti di questo tempo alternativo, intrecciato con l’altro, offrendoci elementi per prevedere l’imprevedibile.
Ci interessa l’evoluzione dei parametri umani non in funzione del tempo atomico ma in relazione al mutare di altri parametri; il tempo classico può ancora scandire tutto, ma ora ci appare secondario, dilatato nell’insignificanza.
Gli incontri che ci perturbano sono come osservazioni quantistiche che alterano lo stato dell’osservato. Emerge così una strana unione tra il campo generale in cui esistiamo e le continue interazioni che ci determinano – un’eco del campo relativistico einsteiniano e delle perturbazioni quantistiche. L’essere umano diventa semplicemente parte di un campo che vive, si alimenta e genera perturbazioni in un universo indifferente alla ricerca di senso.