Uomo incerto e fragile.

uomo incerto e fragile

Ottobre 21, 2011

L’analogia con la fisica mi corre d’obbligo. La tentazione è forte. Come sempre. Recuperare percorsi, tracciati, passaggi obbligati da una scienza con la esse maiuscola per un mondo ad essi refrattario. Il sistema osservato è lo stesso ma lo sguardo del fisico è attraverso modelli collaudati, consolidati, tranquillizzanti, rassicuranti. L’azzardo è il transfer ad un altro punto di vista. Ma se azzardo può essere, quando equilibrato e controllato, può trasformarsi in indicazione illuminante. E l’idea di fondo è recuperare tutto il valore della prospettiva quantistica: con il suo pesante fardello di condanna del determinismo e con la sua impudica affermazione del valore del probabile, dell’incerto e dunque del fragile.

Ma il fragile prende corpo, consistenza e paradossalmente forza. E questa prospettiva, apparentemente debole, diventa lo sguardo, vero e forte della sua consapevolezza, con cui rivolgersi al mondo. E’ questo il passaggio che mi affascina e mi prende. La percezione è quasi sensuale, penetra nel corpo prima che nella mente e quando la vuoi comprendere il terreno è già preparato al meglio.

La fragilità, l’esitazione consapevole, la sofferenza della scelta come valore in se arrivano ad acquisire finalmente dignità. E questa dignità a prendere corpo e legittimazione a partire da un modello che di legittimare il valore dell’esitazione proprio non voleva farsene carico alcuno. Conosco quello che conosco con certezza: il resto rimane terreno da esplorare. I dubbi e l’ignoranza si dissolveranno: è solo una questione di tempo. Con la ragione abbiamo conquistato una parte del mondo: il resto è ancora terra inesplorata, ma non per sempre. Tutto rientrerà in uno schema di razionalità maschia e forte. Con la promessa di conoscere per dominare.

E poi il dramma, il crollo. Il modo di guardare il mondo di Newton entra in crisi. Quando le cose diventano piccole gli occhiali di Newton non riescono più a leggerle. E spunta inspiegabilmente forte questa prospettiva di sostituire il certo con il probabile. Di pensare che non è possibile caratterizzare con certezza una situazione, un evento: il movimento di un punto. Ed il poterne determinare con precisione una  sua caratteristica mi impedisce di determinarne un’altra, anzi quanto più pretendo di poterne osservare con precisione una mi si ribalta sulla necessaria impossibilità, sulla condanna quasi, ad essere impreciso sull’altra. Ma di condanna parlo se continuo a guardare il mondo con gli occhiali di chi tutto vuole vigilare; di chi ritiene compreso solo quanto può essere osservato con certezza, con determinazione.

E qui si innesta l’adagio quantistico. L’incertezza, l’indeterminazione non sono una condanna, un limite: sono il principio su cui si basa la conoscenza del mondo. Almeno il mondo dell’infinitamente piccolo. Dunque un paradigma entra in crisi ma un altro si afferma. E anche se alcuni pensatori non ci credono, Einstein per tutti, il nuovo paradigma pone le sue basi sulla paradossale impossibilità di conoscere con certezza, sulla coscienza profonda che al fondo del mio conoscere c’è una rinuncia consapevole alla certezza.

Eppure è qui che prende forza e vigore un altro livello di certezza: quello di porre al centro di tutto l’incertezza. Sono certo dell’impossibilità di conoscere il mondo con certezza. Ma di questo sono tuttavia certo. L’incertezza gnoseologica diventa dunque una certezza della Scienza. Anzi il linguaggio sotteso, quello quantistico, è talmente complesso che la distanza tra la certezza della Scienza e l’altro diventa ancora più grande. E dunque una certezza ancora più sublime, ineffabile, quasi proterva.

Ma di questa dicotomia, l’affermazione certa dell’importanza dell’incertezza, mi affascina l’incipit. Non mi interessa la superba conclusione . Mi interessa il transfer possibile del valore dell’incertezza. Mi interessa l’uomo fragile che acquisisce dignità: non necessariamente forza. Il riconoscere la fragilità come parte costituente dell’io: pronto ad accoglierla, ad accarezzarla a conservarla come valore. Ma mai a celarla, a superarla, mai a porsi come obiettivo il cancellarla.

Le decisioni necessarie come scelte sofferte di un uomo fragile ed incerto. E le scelte frutto di coscienza cognitiva ma non solo. E da qui la partenza a considerare il mondo. E in questo processo l’importante partecipazione delle spinte emozionali, della non nota profondità dell’essere, dove ragione ed emozione paiono intrecciarsi, non apparire distinte: forse non essere distinte. Ed è qui che colloco l’incipit di ogni decisione, di ogni superamento necessario dell’incertezza, dell’assunzione delle sofferenza per la conquista della scelta. Ma se questa è la trama sottesa, quale educazione auspicare?

immagine di Donato Natuzzi