Pensieri a Magonza
A Magonza i battelli procedono lenti e sordi sulle acque grigie del Reno. Io, che sono sdraiato sulla riva del fiume a contemplare questo paesaggio così grigio e sornione, mi lascio accarezzare dal rumore discreto delle onde che si vanno a frangere ritmicamente sugli scogli piatti e levigati della sponda.
È questa monotonia d’ambiente, questo grigiore senza luce che, avaro di appigli al pensiero, mi spinge a seguire l’andare delle acque lente e dei battelli uguali.
L’unica sensazione che da tutto questo mi deriva è quella di una piatta e faticosa lentezza che accompagna ogni cosa e che pare avvolgere di lontano la vita stessa. Davanti a me questo paesaggio. Dietro di me la vita operosa di un importante centro fluviale. In me la dimensione del tempo come cosa lenta e irriducibile.
Il mondo, i suoi avvenimenti, gli uomini, la loro vita, il loro muoversi operoso, tutto mi sembra annegare in questo mare del tempo così distante e distaccato all’apparenza, ma così vicino e inesorabile in realtà.
Mi sforzo di uscire da questa visione cosmica e insolita delle cose per ritornare ai miei casi, alla mia vita, alle sue vicende, al mio ritrovarmi su questa sponda in questo momento. Mi sforzo di distogliere lo sguardo dal procedere lento e inesorabile dei battelli, ma i miei occhi altro non sanno trovare che cielo simile all’acqua del fiume e voli d’uccelli che mi riesce difficile distinguere e seguire. Nasce così lentamente in me la coscienza di aver perso la dimensione consueta delle cose e della vita e di guardarle ora come avulso dalla comune realtà.
Ho paura di questa mia nuova sensazione. Mi sento solo, senza incentivi e senza desiderio alcuno di dibattermi all’interno di questo tempo che pare non curarsi delle mie brame e dei miei dolori. Nel suo procedere lento, simile a quello dei battelli che ormai scompaiono all’orizzonte per cedere il loro posto ad altri.
Pare essere configurata in questo meccanico apparire e scomparire dei battelli il ritmo del mondo, l’alternarsi delle generazioni, la “passerella” delle nostre vite. Poca cosa la nostra vita se si riduce ad una “passerella” di questo tipo. Eppure, in questo momento la sensazione più netta che mi assale è quella dell’uomo che vive passando come quei battelli. Ma io vivo passando? Non lo so. La mia vita per quei marinai che si trovano su quelle barche, per tutta quella gente che mi formicola alle spalle non conta nulla. Per loro sono come per me quei battelli: lontani e staccati dal mio mondo.
Il mio pensiero si ribella a queste meditazioni, cerca prepotente una liberazione, una librazione verso un altro mondo. Non sopporto quel grigiore e quella monotonia. Sono spinto così a chiudere gli occhi e a tendere l’orecchio verso le voci delle persone che saltuariamente mi passano alle spalle.
Mi trovo come chi è rimasto troppo sull’orlo di un abisso, perdendo di vista le cose di ogni giorno, il tessuto dei gesti quotidiani e ha trovato se stesso, nudo e spoglio dall’insieme delle cose comuni che spesso gli impediscono di guardare nel profondo di se stesso. Sono così spinto a dar valore ad ogni cosa, a familiarizzare con quelle voci di quelle persone che non conosco. Mi attrae il mondo di quei marinai, la cui vita è tutta legata all’andare di quel fiume così lento e indifferente.
E così, in questo contrasto stridente di nature, quella del fiume opaca e fredda e quella dei marinai viva e calda, sono ora portato ad optare per la seconda, anche se la prima racchiude nella sua fredda indifferenza una parte notevole di me.
Il clima rigido, la nebbia che vela tutto mi affascina ora. Non sento più il freddo, amo questa nebbia, questa solitudine, perché ci sono quelle voci così calde, quei visi così particolari che mi portano con la mente al mio mondo, al mio piccolo mondo di ogni giorno, del mio paese, della mia gente.
Nessuno si può dimenticare del suo piccolo mondo. Anche quando lo sguardo si è allontanato dalle piccole cose, e pare aver trovato il baratro della verità, non posso continuare a guardare per lungo tempo in quella voragine, perché rischio di subire il fascino del vuoto.
Quando volgo altrove lo sguardo e cerco, disperato, di aggrapparmi a quel mondo consueto e familiare, sento in me una certa punta di meschinità, di vigliaccheria e forse di rimpianto, ma mi sostiene nel mio gesto la consapevolezza che accanto a questo grigiore del Reno, lontano da me, ci sono in questo momento “porti che sono rosa all’ora del tramonto”, paesaggi inondati di sole e di azzurro, volti illuminati di sorriso. Anche questa è vita.
L’uomo forse non è fatto per il mondo. L’uomo è fatto per quell’angolo di mondo che la natura gli ha offerto. Al di là di quello trova ancora se stesso, ma non trova più il posto per se stesso.